I Trojani la mettevano nel vino, il che secondo loro ne aumentava il sapore e v'infondeva allegrezza ed ilarità e rallegrava il cuore. Apulejo scrive che i Lucani la chiamavano Coragine, perchè à gran proprietà nelle passioni del cuore, onde poi col tempo si mutò il C in B e fu detta Borragine. Marsilio Ficino assicura che l'uso dei fiori di borragine mantiene l'uomo giovine ed allegro.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
che i Lucani la chiamavano Coragine, perchè à gran proprietà nelle passioni del cuore, onde poi col tempo si mutò il C in B e fu detta Borragine
Il Broccolo è della famiglia numerosa dei cavoli. Si seminano da Aprile fino a Giugno in luna vecchia. Vuole terreno lavorato e concimato, si trapianta ingrassato nuovamente in Settembre ed Ottobre. Bisogna guardarlo dal gelo. È cibo molto saporito, ma per taluni molto indigesto. Si mangia cotto in insalata o al burro, oppure con salsa au gratin con cacio parmigiano. E companatico del tempo quaresimale. Varietà, il Cavol-fiore (botrytis) e il Cavol-rapa (gongyloides). Del broccolo e del cavol-fiore se ne mangia il fiore ancora immaturo, e del cavol-rapa se ne mangia la radice. I migliori vengono in Romagna, Sicilia e Malta, da noi celebri quelli di Tremezzina sul Iago di Como. Dei broccoli in particolare la storia non ci tramanda nulla, e tutti li confondono coi cavoli. Ecco due maniere di mangiare i broccoli o cavoli-fiori. 1.° In salsa bianca. Fate cuocere i broccoli nell'acqua salata con un pizzico di farina, e lasciateli poi sgocciolare; disponeteli ancor caldi su d'un piatto e versatevi sopra la salsa seguente : — Fate fondere in una casseruola tanto come un uovo di burro con sale e pepe aggiungendovi un cucchiaio di farina, e poco per volta, rimestando sempre, un bicchiere d'acqua bollente. Cotta la farina, ritirate la salsa dal fuoco e legatela con un tuorlo d'uovo sbattuto prima con un filo di aceto oppure con una noce di burro senza più rimettere la salsa al fuoco. — 2.° In insalata. Bolliti nell'acqua salata e sgocciolati i broccoli e asciugati con una salvietta, disponeteli in un'insalattiera. Preparata a parte la salsa di olio, aceto, capperi, due o tre acciughe e prezzemolo triti, versatela sui broccoli. — Da noi corre questo detto :
L'orto in cucina - Almanacco 1886
insalata o al burro, oppure con salsa au gratin con cacio parmigiano. E companatico del tempo quaresimale. Varietà, il Cavol-fiore (botrytis) e il
Plinio li maltratta e Catone ne canta le lodi. I Romani, un bel dì cacciarono da Roma tutti i medici che rimasero esigliati per lunghissimo tempo e Catone il censore assicura che i Romani si curarono da ogni male coi cavoli. Varrone salvò, mercè loro, la sua famiglia dalla pestilenza. La più celebrata specie presso i Greci ed i Romani, era la verza nostra, detta appiana, benchè fossero conosciute e coltivate anche le altre specie. Nel bon tempo antico, i cavoli erano un contraveleno ai funghi velenosi, cotti con pepe davano molto latte alle balie e molta voce ai cantanti, il loro seme nel brodo di carne era un toccasana per tisici. Il cavolo come la minestra dei nostri nonni faveva diventar alti i ragazzi e la scuola di Salerno dice:
L'orto in cucina - Almanacco 1886
Plinio li maltratta e Catone ne canta le lodi. I Romani, un bel dì cacciarono da Roma tutti i medici che rimasero esigliati per lunghissimo tempo e
Bulbo conosciuto che vuolsi originario dall'Egitto, ma realmente la sua patria è sconosciuta. Ama terreno sostanzioso ma leggiero. Si semina da Febbrajo a Maggio in luna vecchia, fiorisce in Giugno e Luglio, matura in autunno, e si conserva per tutto l'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Spia. Si semina pure in estate ed autunno per averle nella successiva primavera. Chi desidera avere cipolline giovani ne semina ogni 15 giorni fino ad Agosto irrigandole, e quando sono della grossezza d'un dito mignolo si trapiantano. La semente conserva la sua virtù di germogliare per tre anni. Molte varietà — le tonde e le depresse, le bianche e le rosse o gialle. Da noi più ricercate per sapore sono sono quelle di Como ed in particolar modo quelle di Brunate. È questa una radice importantissima che fa la sua comparsa cotta e cruda nella ciottola del contadino, e, sotto mentite spoglie, forma la base di tanti manicaretti e salse squisite che si imbandiscono alla tavola del ricco. E condimento ed alimento. Nella cucina milanese la cipolla è come l'aglio uno dei principali suoi ingredienti. Per molti è indigesta; cotta è di più facile digestione che cruda. Vogliono che tagliata a pezzi e lasciata alcun tempo nell'acqua perda la sua acredine e riesca molto dolce. La cipolla fu dagli Egiziani elevata agli onori della divinità. Fra tutte le cipolle era celebre l'ascalonia, così detta da Ascalone, castello della Giudea, dove venivano d'una grossezza e bontà straordinaria. Nelson e Vittorio Emmanuele la mangiavano cruda in insalata ed era uno dei loro cibi prediletti. Fino dall'antichità la cipolla cavava le lagrime, per cui quando vedevasi alcuno piangere, si diceva, teste Aristotele de problematibus: À mangiato, o, à odorato le cipolle. Fu ritenuto anticamente come un cibo callido, massime se cruda e le si conferivano molte virtù. Donava bel colorito al viso, ajutava la digestione, promoveva l'appetito, guariva dalle morsicature dei cani:
L'orto in cucina - Almanacco 1886
alcun tempo nell'acqua perda la sua acredine e riesca molto dolce. La cipolla fu dagli Egiziani elevata agli onori della divinità. Fra tutte le cipolle
Fagioli saltati. — Se i fagioli sono verdi gettateli nell'aqua che bolle. A metà cottura aggiungetevi del sale e un piccolo pezzo di burro. Toltili dall'acqua e lasciatili sgocciolare, metteteli caldi ancora in una casseruola con burro misto a prezzemolo trito, sale, pepe e un po' di sugo di limone. Fateli saltare e serviteli su d'un piatto caldo. Se i fagioli fossero secchi converrebbe farli bollire nell'aqua per più lungo tempo, gettandoli in essa quando è ancor fredda. La stessa regola vale per i fagioli da mettersi nella minestra. In tal caso l'aqua nella quale bollirono deve essere buttata via, perchè essa aqua più che i fagioli cagiona indigestione e flattulenze.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
. Fateli saltare e serviteli su d'un piatto caldo. Se i fagioli fossero secchi converrebbe farli bollire nell'aqua per più lungo tempo, gettandoli in
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota, la più insipida delle insalate, se se ne eccettui il lattughin detta anche insalatina, da noi, forse perchè essendo assai tenera e primaticcia si mangia volentieri. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola. S'imbianca come l' endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come un succedaneo dell'oppio ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fù dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne sepellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria, Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'iterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non molto grasso. Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti principalmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa purèe e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primo- genitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo da il menu d'una cena con queste parole: « mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. » Allora si servivano le lenti come oggi si fà della patata in Svizzera. Difilo comico, fà dire ad un suo personaggio: « la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. » Zenone, il fondatore della setta stoica, dice, essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condir bene le lenti. Ecco il suo dogma - Sapientem omnia recte agere et lentem diligenter condire. La famiglia dei Lentuli doveva il suo nome a degli antenati venditori di lenti. Marziale ne parla in Xeniis:
L'orto in cucina - Almanacco 1886
cotti principalmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa purèe e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d
Pelusio era città dell'alto Egitto fondata da Peleo, padre del grande Achille. E a questo proposito S. Gerolamo nel lib. 9° in Ezechia, dice che si chiamava lente Pelusiaca perchè Pelusio era come il grande mercato della Tebaide e dell'Egitto, da dove pel Nilo discendevano le lenti fino ad Alessandria. Era proverbio: Ante lentem augere ollam - cioè preparare un'olla più grande che la quantità delle lenti, donde ne venne il nostro: pussee grand l'œucc ch'el bœucc. E l'altro che si legge in Aristofane: Dives factus, jam desiit gaudere lente - il che equivale al nostro parvenu che si scorda di essere stato quello che era. Borc pretende che gli antichi prima di cocerle lasciassero loro subire un principio di germinazione, onde svilupparne meglio il principio zuccherino come si fà oggi coll'orzo tallito. La lente ebbe dei detrattori. Ippocrate e Galeno ne dissero assai male, nient'altro che è autrice delle più grandi malattie e tra le altre del cancro, del sciro, della lebbra e della cataratta. Precisamente come dopo tanto tempo Martin Lauzer assicura che la lente guarisce da 26 malattie, tra le quali la gotta, la cefalogia, l'afrodismo ed il vaiuolo. Al principio del 600 in Lombardia, teste Francesco Gallina medico torinese, correva il proverbio: Chi mangia lenticchie caga una secchia. Stile del 600. E però la lente è un legume saporito, nutriente e che si digerisce meglio passata allo staccio e spoglia di buccia. Roques dopo aver date molte ricette a cucinar le lenti, finisce eoll'assicurare il prossimo che egli preferisce « une purèe de lèntilles, on repose mollement un morceau de pètit lard salè et tendre ». Ma alla lente era preparata una gloria assai maggiore di quella di servire di soffà ad un anitra o ad una salsiccia. L'inglese Warton inventò la famosa Ervalenta (dal suo nome ervum lens) e la fè passare come un prodotto di pianta forastiera ed il pubblico credenzone correva a pagare 10 lire al chilogrammo la farina di lenti che valeva 20 centesimi. Poi dai Du-Barry disputatisi coi Warton nel 1854 il privilegio di gabbare il mondo, ne venne la Revalenta o Revalescère, la famosa Revalenta arabica, che guarisce da tutti i mali. Sottoposta dal Consiglio di Sanità di Londra e dall'illustre Payen di Parigi a conscenziosa analisi risultò composta per la massima parte di farina di lenti scorticate, coll'aggiunta in varie proporzioni di quella di piselli, di melica, sorgo, avena, orzo e una centesima parte di sale di cucina. Pure il Du-Barry continua l'allegro commercio colle più belle trovate di ciarlataneria.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
è autrice delle più grandi malattie e tra le altre del cancro, del sciro, della lebbra e della cataratta. Precisamente come dopo tanto tempo Martin
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che gli comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci la chiamavano Cardamon, lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso ed eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto: homines secordes et somnolentes nasturtium edere jubeamus. l milanesi ad indicare piedi lunghi e larghi alla moda inglese chiamano le scarpe dei loro fortunati possessori: cassett de Nasturzi.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si
Rumex da rumo, io succhio, perchè i fanciulli ne succhiano le foglie e le punte addette - nel linguaggio dei fiori - Asinaggine - è perenne, dura fino a 12 anni - si semina da Marzo a tutto Settembre - preferisce terreno umido - si moltiplica per mezzo di radici. Se ne contano 21 specie. Cresce anche nelle campagne, ma è da preferirsi quella coltivata nell'orto. Si mangia quando è verde. Preparasi in varie maniere come cibo: col burro e panna, come gli spinaci, colle ova, nelle frittate, nelle salse verdi, colla carne, nelle zuppe, negli intingoli; si mescola coll'insalata, massime alla lattuga - serve a togliere il puzzore alle carni, principalmente di pecora e castrato. Varietà: - la patientia, detta anche acetosa spinacio - (nel linguaggio dei fiori Pazienza) è indigena, si semina in Marzo e Aprile, dà fiori verdicci. Le acetose servono ad uso medicinale, in decotto e sono antiscorbutiche e contengono molto acido ossalico che fra tutti gli acidi vegetabili, è il più ricco di ossigeno — convengono in tutte la malattie infiammatorie. Dall'acetosella si prepara il noto sale di tal nome. L'acetosa, a' tempi andati fù detta anche erba alleluja, perchè fiorisce verso le feste pasquali. Impastata coll'aceto e seccata serve all'occorrenza per cambiare in poco tempo il vino in aceto — masticata scioglie i denti intorpiditi per aver mangiato frutte acerbe. La sua radice seccata e bollita dà una tinta rossa. Da noi si chiama erba brusca, pan cucch, pan mojn, de la Madonna.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
pasquali. Impastata coll'aceto e seccata serve all'occorrenza per cambiare in poco tempo il vino in aceto — masticata scioglie i denti intorpiditi per aver
Il Ramolaccio, o Armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China. Vuole terreno sciolto, pingue e a buona esposizione, abborre il massimo caldo. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi, e i ruggini dolci d'estate si seminano da Marzo a Giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti dal Giugno a Settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il Ravanello, è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Avvi pure il Ravanello serpente (Raphanus caudatus) di Giava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi bacelli terminali che possono prolungarsi fino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati e ciò dipende dalla qualità della terra, (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e difficile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile: Raphanus digerit, at ipse non digeritur. Sviluppa flattulenze fetide ed acri rinvii. Sono da preferirsi i piccoli e giovani, perchè più teneri e meno acri. Erano celebri i ramolacci di Delfi ove li mangiavano anche cotti. Democrito li condannava. In Egitto dove erano saporitissimi - suavitate prcæcipui - si mangiavano aspersi di nitro. Campegio Sinforiano « uomo sapientissimo » dell'epoca delle crociate, dice che i più grossi al suo tempo erano quelli di Germania. Che i ramolacci sieno indigesti viene attestato anche da Cornelio Celso che scrive: a levibus cibis ad acres, ab acribus ad leves transire esse radicem, (raphanum) deinde vomere, lib. 3 cap. 16. Si voleva che guarisse dai calcoli urinarj. Oggi raschiato ed applicato come cataplasma attorno al collo, il popolo lo usa come risolvente nelle angine, e ne fa sciroppo che trova utile nella tosse ferina e nei catarri ostinati. I cronisti ci tramandano che il ramolaccio era la passione di Carlo Magno, passione ereditata da suo figlio Pipino. Dai nostri contadini viene chiamato : Salam de prœusa - e negli educandati - Polpett de magher.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
sapientissimo » dell'epoca delle crociate, dice che i più grossi al suo tempo erano quelli di Germania. Che i ramolacci sieno indigesti viene attestato anche
Satureja, santoreggia, savoreggia, caniella, peverella, erba acciuga è la medesima pianticella annuale, originaria della Spagna, vaga per la sua fioritura bianco porporina. Si risemina da sè abbondantemente, e nasce facilmente dovunque. Nel linguaggio dei fiori: ingenuità. Ve ne sono 8 varietà , tutta la pianta è aromatica. I cuochi la ricercano per rendere più grato il sapore delle fave, delle lenti, dei piselli secchi, e degli altri legumi, ai quali si unisce assai bene, come in tutte le salse I Tedeschi la mettono nel loro Sauer-Kraut. Fu chiamata la salsa dei poveri. È utile in medicina, come stomachica, la sua decozione è buona per gargarismi e spruzzata nelle orecchie per le otiti, da qui forse il suo nome popolare di santoreggia, giova nelle affezioni vaporose. Colla satureja se ne profumano le abitazioni in tempo di epidemia e le stalle quando regnano le epizoozie. Il suo nome satureja dall'antico satyreja perchè di questa erba se ne cibavano volentieri i satiri, certi uomini, che c'erano una volta e che avevano le corna e i piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e conyza, (da qui l'altro nome popolare di coniella) che il volgo chiamava anche pulicaria perchè serviva a scacciare le pulci, virtù che conserva anche oggidì, emula della maggiorana. I fiori della satureja, sono cibo graditissimo delle api.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
, giova nelle affezioni vaporose. Colla satureja se ne profumano le abitazioni in tempo di epidemia e le stalle quando regnano le epizoozie. Il suo nome
Il sedano o selino è pianticella erbacea, biennale, indigena à radice tuberosa, di sapor forte, piccante, odore aromatico, nasce naturalmente nelle paludi torbose del Po, si semina in primavera, si trapianta. Ama bona esposizione, terra grassa, copiosi inaffìamcnti. S'imbianchisce rivestendolo e rincalzandolo di terra, si difende dal freddo coprendolo collo strame. Diverse varietà, le migliori il bianco e violetto a costa ripiena, il sedano rapa (apium radice rapacea) à la radice che si gonfia e raggiunge ragguardevoli proporzioni. Il sedano è della famiglia del prezzemolo e serve tanto la foglia che la radice, a condire convesso e a dar sapore a legumi, verdure, carni, ecc. entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa, (del quale si mangia solo la radice), lo si cuoce in stufato, se ne fà un delicatissimo purè. A Napoli lo si chiama accio (da Appio). Il sedano e massime il seme è eccitante e per alcuni indigesto. In Oriente è usato il seme contro il mal di mare. Fino dal tempo di Ippocrate, veniva usato per soffumigi contro l'emicrania: in nares cerebro bile infestato. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci ricorda era proverbio, — abbisognare di sedano quelli che sono male in gamba: qui deplorata sunt valetudine. I Romani s'incoronavano di sedano nei conviti onde preservarsi dall'ebbrezza. Oggi il sedano nei conviti si mangia per antipasto. Colla polvere del seme di sedano, meglio del selvatico, se ne fà un unguento contro i pidocchi.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
. Fino dal tempo di Ippocrate, veniva usato per soffumigi contro l'emicrania: in nares cerebro bile infestato. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava
A' tempi di Svetonio, il bulbo dello zafferano durava 8 anni. Nell'Avignonese oggi limitasi a due soli, nella Sicilia a tre, ad Aquila a quattro. Il bulbo è amato dai topi, gli steli dalle lepri. Quantunque originario dei paesi del mezzodì, è coltivato oramai in quasi tutta Europa, perfino in Inghilterra. In Italia tale cultura è antica specialmente in Sicilia e nel Napoletano, e propriamente nella provincia di Aquila, che per aroma e qualità tintoria dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al chilogrammo. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai pasticcieri, dai profumieri, dai pittori, pizzicagnoli, maniscalchi e cuochi. Per la cucina si dovrebbe provvederlo in fili e non in polvere, onde evitarne la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo coi fiori dello Zaffranone, o falso zafferano (carthamus tintorius) che dà un colore scarlatto, con l'Oricella (rocella tinctoria) che dà pure un color porpora, col Sommaco (rhus coriaria) ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi, ove non si possano con facilità dissipare; sono all'uomo malsani e talvolta micidiali, perchè à virtù eminentemente narcotica, ed in medicina passa come rimedio stimolante analogo all'oppio. La scoperta dello zafferano si perde nella nebbia dei tempi. La mitologia vuole che abbia avuto origine da un giovinetto chiamato Croco che innamoratosi perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano, da qui il suo nome di Crocus. Et in parvos versum cum Smilace flores, et Crocon . (Ovidio, 4, Mctam.). Dioscoride lo raccomanda come apposto. Sappi che le zucche più vuote di questo mondo, possono elevarsi alla più alta aristocrazia culinaria. Tu potresti apprestare a'tuoi amici, un abbondante, gustoso e variato pranzo, quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche e secche. La si fa cuocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel latte. Se ne rileva il sapore con erbuccie, ova, spezie e collo zuccaro. La polpa delle zucche ed anche i fiori si mangiano fritte, ripiene, accomodate, triffolate, in fricassèe, in stufato, ed in polpette. Se ne fanno torte, pasticci, e perfino salami. Colle piccole zucchette lessate o cotte alla brage, o colle tenere cime delle piante bollite nell'aqua si fa dell' insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di essa fermentato può fornire l'aceto. Colla zucca confettata con miele ed aromi, si provvede il dessert di saporite mostarde e confetture, che si rende ancor più vago abbellendole con piccole zucchettine imitanti le pera, le poma, gli aranci. Il pane si forma colla zucca ben cotta, impastata colla terza parte di farina. Finalmente coi semi di zucca, puoi comporre orzate e simili gustose bevande. Che se questo simposio, vuoi prepararlo a'tuoi amici all'aria aperta, lo potrai gentilmente offrire sotto un pergolato coperto colle foglie di una pianta di zucca. Che ne dirò poi delle zucche vuote? Colla scorza di esse puoi farne bottiglie, bicchieri, piatti, cucchiaj, forcine, coltelli, mestole, saliere, lucerne ove arda l'olio del seme suo, recipienti d'aqua, di vino, di liquori, tabacchiere, pipe e quello che vuoi. Le zucche vuote poi servono mirabilmente a sorreggere i mal pratici o novizi nuotatori. A questo proposito, vo' narrarti un aneddoto di Bellavitis e faccio punto. Bellavitis, mio illustre e celebre collega dell'Università di Padova, ora defunto, veniva un giorno supplicato da uno studente, perchè gli fosse propizio nell'esame: « Veda, professore, insisteva lo studente, se io non passo questo benedetto esame, ò l'inferno in casa mia! Sarei costretto a buttarmi in Brenta. » — A l che Bellavitis: « Oh no xe pericolo per hi, perchè el sa che le zucche i galleggia! » Insomma, io non mi perito a chiamare la zucca la più utile delle verdure ed è ingiusto adoperare il suo nome per insultare alle teste umane. Rispelta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello, come lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore, di generale! Un bacio e vale. »
L'orto in cucina - Almanacco 1886
la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo